Aisha- di BONVEGNA Alessandro



Il mio nome è Aisha. Ebbene sì, proprio come la bella canzone d’amore marocchina che ormai ha fatto il giro del mondo.
Io, però, sono siriana: sono nata quasi trent’anni fa in un piccolo e povero villaggio a sud di Aleppo. Non è mai stata facile la vita laggiù; già, un tempo non esisteva quello che oggi viene chiamato Isis, tanto temuto da tutto l’Occidente, ma vi posso comunque assicurare che razzie, stupri, guerriglie sanguinose tra i villaggi erano all’ordine del giorno, nel silenzio di tutto il mondo.
Quanti di voi conoscevano la Siria trent’anni fa? Pochi, io credo. Probabilmente, la nostra terra veniva soltanto distrattamente associata dai più a quel vento caldo e secco, che voi conoscete come “scirocco”. Conosco un detto popolare che ho imparato qui in Italia. Recita così: “Sotto scirocco, tutto può succedere, anche un omicidio!”.
Ma non è stato il vento ad aver ucciso di botte i miei genitori perché si rifiutarono di cedere a dei briganti il loro piccolo pezzo di terra secca. E quel giorno io avevo soltanto dieci anni, ma non soffiava scirocco, né esisteva ancora l’Isis. Volli partire, per crearmi una cultura e una vita, lontano da quei mostri. Così, dopo due anni di pianto e dolore per mia madre e mio padre massacrati, io e mio fratello vendemmo la poca terra rimasta e partimmo. L’Europa, l’Italia, la civiltà! Le avevo sognate, sofferte, con i miei piccoli occhi di dodici anni. Un po’ vi invidiavo, certo; persino il vostro freddo invernale a cui non ero abituata. Ho raggiunto l’Italia, dove venni adottata da una cara famiglia di Cuneo; ho scelto di studiare lingue, proprio per potermi distinguere dal rozzo abbaiare di certi uomini della mia terra di origine. All’ultimo anno di università ho anche conosciuto Gianluca, un ragazzo piemontese del mio stesso corso: ci siamo fidanzati, subito dopo aver provato quello che voi chiamate “colpo di fulmine”.
Successivamente, ho trovato lavoro come segretaria di un responsabile di azienda molto facoltoso. In poco tempo ero riuscita ad abbandonare ogni ricordo di quelle tribù rudi e prepotenti, e mi sentivo finalmente felice e realizzata. Ma, dopo i primi tempi, il mio datore di lavoro ha cominciato a guardarmi con occhi diversi. 
È stata una rapida escalation: nel giro di poche settimane, benché mi trovassi in una confortevole città, ho ricominciato a sentire quella stessa terra ruvida e secca che mi sprofondava sotto i piedi nel mio villaggio, ogni volta che volevano violentarmi. Il mio datore di lavoro iniziò a molestarmi ripetutamente, con minacce in caso non mi spogliassi in ufficio, o andassi in bagno con lui. La cosa peggiore era che in tutto questo io volevo solamente fare bene il mio lavoro!
Un giorno arrivò a strattonarmi, ma io mi divincolai con forza, e lui mi licenziò all’istante. Andai dai sindacati, ma purtroppo non c’erano prove effettive circa la vera causa del licenziamento. Sono rimasta senza lavoro, e con il mio compagno Gianluca che, credendo l’avessi tradito almeno una volta con il mio (ex) capo, mi lasciò con modi molto bruschi, e si fidanzò con un’altra ragazza. Da ormai due anni sono alla ricerca di lavoro come anche molti, anzi, troppi italiani, ma ho imparato una lezione: non esiste cultura, religione o località che renda le persone migliori o peggiori, perché questo può dipendere unicamente da ognuno di noi. Anche guardando i telegiornali italiani, spesso mi accorgo che esistono, purtroppo, diversi metodi di violenza più o meno palesi e per lo più rivolti alle donne, o comunque a soggetti psicologicamente e fisicamente più deboli.
Perciò io non temo solo l’Isis, se questo termine evoca intolleranza, sopraffazione, violenza; ma temo un incubo che ho già subito a casa mia, e che in piccolo rivivo anche in una società considerata “civile”.

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